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Il bioreattore tessile che trasforma i rifiuti in metano

Dalla Svezia l’impianto leggero, efficiente ed economico che ha l’aspetto di un materassino gonfiabile. Ha l’aspetto di un…

20/09/2018

20/09/2018Dalla Svezia l’impianto leggero, efficiente ed economico che ha l’aspetto di un materassino gonfiabile.

Ha l’aspetto di un grosso materassino gonfiabile, ma al suo interno è pieno di vita brulicante, la stessa che serve a trasformare rifiuti organici in mangimi per animali o carburanti. E’ il bioreattore tessile inventato in Svezia dalla collaborazione tra l’Università di Borås e FOV, un’azienda manifatturiera tessile. L’incontro ha portato ad una ricerca che nel 2014 ha prodotto il primo prototipo di bioreattore tessile: una semplice piramide in poliammide dotata due aperture.

Nel giro di pochi anni, l’invenzione è stata migliorata e testata in diversi progetti di ricerca nel sud del mondo, iniziando a produrre biogas dai rifiuti alimentari e in seguito dal letame. I ricercatori hanno alimentato il dispositivo con diversi tipi di scarti organici e provato differenti miscele per ottenere la migliore produzione possibile di biogas. Hanno anche testato reattori di diverse dimensioni per ottenere le caratteristiche tecniche desiderate.

I nostri reattori sono realizzati con sofisticati materiali tessili e polimerici. Il rivestimento del tessuto li rende resistenti ai gas e ai prodotti chimici”, ha affermato il responsabile della ricerca. “Possono essere utilizzati ovunque siano disponibili rifiuti biodegradabili, ad esempio nell’industria alimentare, nell’agricoltura o nel trattamento delle acque reflue, e in impianti sia di piccole che di grandi dimensioni”.

Nei paesi con climi tropicali, il processo di digestione anaerobica umida funziona bene, poiché il materiale con cui viene riempito il reattore viene miscelato con acqua per formare un fango acquoso e non è necessario aggiungere calore. Lo stesso processo funziona meno bene in un clima freddo, perché poi i batteri nel reattore si congelano e muoiono. Ecco perché il gruppo è ora impegnato a studiare un metodo di digestione a secco, in cui si riduce la quantità di fluido, migliorando nel contempo l’isolamento.

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