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Il concetto di comunità energetica nell’Economia civile

Intervista a Stefano Zamagni, economista italiano e professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna e alla Johns…

27/07/2023

Intervista a Stefano Zamagni, economista italiano e professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna e alla Johns Hopkins University.

27/07/2023Nel corso del convegno intitolato Dalla Lucense a ForGreen: 100 anni di Comunità energetiche, uno spazio è stato dedicato ad alcuni interventi autorevoli in tema di Economia civile e Comunità energetiche. Uno di questi ha avuto come protagonista Stefano Zamagni, economista italiano e professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna e alla Johns Hopkins University, intervistato da Verona Network.

Come nasce il paradigma dell’economia civile e quali sono le attuali sfide che si trova ad affrontare?

Storicamente il paradigma ha una data d’inizio ufficiale, il 1753, quando l’Università di Napoli istituì la prima cattedra al mondo di economia, chiamandola appunto “economia civile”. Poi da Napoli questa linea di pensiero si è trasferita a Milano e poi ha preso il via. Da un punto di vista storico, quindi, il paradigma dell’economia civile antecede quello dell’economia politica. La prima cosa da evidenziare è che il paradigma dell’economia politica è fondato su una matrice anglosassone, e quindi improntata sul calvinismo. La matrice di riferimento dell’economia civile è invece il cattolicesimo. L’economia politica è diventata poi dominante e ha esercitato una sorta di egemonia culturale anche in Italia, tralasciando quella civile. Stiamo assistendo però a un cambio di rotta, anche nel mondo anglosassone, a favore dell’economia civile.

Come si inserisce il modello delle Comunità energetiche all’interno del paradigma dell’economia civile?

Se uno resta dentro la prospettiva dell’economia politica, mai potrà accettare le Comunità energetiche. Potrà tollerarle, magari, ma mai potrà pensare di trovare una legittimazione sia teorica che pratica se resta dentro a questo paradigma. Per l’economia politica, infatti, l’ordine sociale si basa su due pilastri soltanto: lo Stato e il mercato. Di conseguenza, quindi, le due categorie di beni sono pubblici e privati, gestiti da Stato e mercato. Secondo la prospettiva dell’economista civile, invece, a questi due pilastri se ne aggiunge anche un terzo: la comunità. Le Comunità energetiche, per l’economista civile, non sono l’eccezione ma la regola, che merita la stessa dignità del mercato e dello Stato. Oggi il recupero della tradizione italiana civile è testimoniato anche da questi fatti. Le CER si fanno infatti carico dei beni comuni, dell’energia che è un bene comune e pubblico. Il mio auspicio è che anche la politica un giorno arrivi a comprendere questo aspetto.

In che modo, secondo lei, le Comunità energetiche potranno contribuire al superamento di questo paradigma?

Non da sole, naturalmente, ma potranno dare un contributo significativo, se si pensa che già nel Codice Giustinianeo era presente la suddivisione dei beni in privati, pubblici e comuni. Anche la nostra carta costituzionale indirettamente fa cenno ai beni comuni, non riconoscendoli però come tali. Ed è questo, a mio avviso, il grande limite. Siccome l’ambiente è un bene comune, finora lo abbiamo trattato come un bene privato o pubblico, ma deve essere gestito dalla comunità. Dev’essere la comunità, quindi, a occuparsi dell’ambiente e dell’energia, con una Governance di tipo cooperativo, e le Comunità energetiche sono un esempio di questo tipo di lavoro.

Che valore possiamo attribuire, quindi, al valore della cooperazione all’interno di una Comunità energetica?

Un duplice valore. Il primo è l’ottenimento di energia, di cui abbiamo sempre più bisogno, soprattutto ora che si parla tanto di intelligenza artificiale e tecnologia in generale. È questo, infatti, che consuma tanta energia, dai messaggi che mandiamo, ai computer che quotidianamente utilizziamo. II secondo valore è la generazione di capitale sociale, in quanto le Comunità energetiche adottano il modus agendi della cooperazione e fiducia, e senza fiducia non può esserci sviluppo. Facciamo un esempio pratico: la mafia e le criminalità organizzate non si riescono a sradicare perché la mafia taglia i nessi di fiducia: fa un lavoro molto sottile. Anche la mafia, quindi, si può combattere con strutture di tipo cooperativo. Il significato profondo delle CER non è quindi soltanto il risparmio in bolletta, ma quello di creare legami e nessi fiduciari, producendo un’esternalità positiva a vantaggio di altri settori dell’economia.

Abbiamo festeggiato il centenario dalla fondazione della Lucense: quale augurio si sente di fare alla neonata Comunità energetica Lucense 1923, che abbiamo scelto di intitolare proprio per omaggiare questa storica esperienza?

L’augurio sincero è che quest’esperienza continui, su basi rinnovate. Gustav Mahler diceva che «la tradizione è la salvaguardia del fuoco, non la conservazione delle ceneri». Il rischio infatti è che le persone che hanno dato vita a queste iniziative nel passato tendano a mantenerne intatto il modello e la forma, e sarebbe sbagliato. Bisogna “conservare il fuoco” e quindi proseguire il cammino sempre su basi rinnovate. Il mio augurio è questo: non siate come i conservatori, ma cercate sempre di innervare con lo stesso spirito altri ambiti della vita associata alla vostra realtà. Questo, in sintesi, è il mio auspicio: che la forza che viene dal vostro esempio stimoli altri a fare altrettanto in altri modi diversi.

La video intervista a Stefano Zamagni

Se non vedi il video, clicca qui.

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